di Adele di Florio
Il film tedesco L’Onda, titolo originale “Die Welle”, girato a Berlino e dintorni nell’estate del 2007 da Dennis Gansel con la sceneggiatura di Peter Thorwarth arrivò nelle sale cinematografiche nel 2008. Le critiche, anche polemiche, furono tante perché l’argomento trattato, era, diciamo, piuttosto spinoso: come nasce un’autocrazia. Per poter parlare del film bisogna tornare a qualche anno prima e spostarsi in America. Nel 1967, Ron Jones, insegnante di storia alla “Gubberley High School” di Palo Alto in California, mentre teneva una lezione sul nazismo e veniva incalzato da uno studente che continuava a chiedergli come fosse stato possibile che i tedeschi avessero aderito in massa, ciecamente, a un regime così violento e distruttivo, decise, lì per lì, di sperimentare, a fine didattico, come avrebbe reagito la classe se lui avesse creato una situazione simile a quella della propaganda nazista. Concordò con loro di costituire un movimento che chiamò La Terza Onda: l’appartenenza a tale movimento era subordinata al rispetto di un insieme di regole categoriche che li avrebbe caratterizzati, quali: disciplina, spirito di corpo, rituali e una divisa. Il risultato fu sorprendente: l’atmosfera della classe si trasformò, la maggioranza degli studenti riconobbe l’autorità assoluta del professore, cercò di convincere gli indecisi anche malamente e isolò i pochi dissidenti.
L’esperimento, che inizialmente doveva durare un giorno ed era limitato ad una sola classe, si allargò a tutta la scuola, e al quinto giorno il professore fu costretto ad interromperlo perché era diventato pericoloso. A questa storia fu dato poco risalto: infatti ne rimangono solo il diario dell’insegnante e qualche traccia sul giornalino scolastico. Sempre a Palo Alto, qualche anno prima, un altro professore, l’universitario Stanley Milgram, aveva condotto una ricerca sull’obbedienza; i risultati erano stati altrettanto sorprendenti: l’ubbidienza degli studenti era risultata quasi assoluta. Successivamente, nel 1971, Philip Zimbardo dell’Università di Stanford, ricreando le condizioni ambientali di una prigione, condusse un secondo esperimento molto simile a quello del professor Jones e con risultati non meno inquietanti di quelli della “La Terza Onda”: tutti gli studiosi giunsero alla conclusione che la maggior parte degli individui, in situazioni particolari, ubbidisce a ordini che sono anche in netta contrapposizione con i propri principi più profondi.
L’esperimento di Palo Alto fu trasformato, nel 1981, da Todd Strasser, scrittore statunitense, in un romanzo per ragazzi, “The Wave”. Il film è tratto da questo libro. Da notare che il romanzo è una lettura obbligatoria nella maggior parte delle scuole tedesche e mi viene da osservare che mentre nelle scuole della Germania si continua a leggere Die Welle, in Italia si diminuiscono le ore di insegnamento della storia e si affitta, per diciannove anni, l’abbazia di Trisulti a Steve Bannon che ne farà la sede della sua “scuola quadri per i giovani guerrieri” del populismo internazionale.
Torno al film che ha avuto un tempo di gestazione di circa due anni dall’idea sorta durante una cena tra amici in cui erano presenti il regista, lo sceneggiatore P. Thorwarth, e uno dei futuri produttori, Christian Becker, che ha dovuto lavorare non poco per ottenere autorizzazioni e finanziamenti. Finalmente, in luglio e agosto del 2007 le riprese furono effettuate e il professor Jones che era presente sul set, disse che gli sembrava di tornare al tempo del suo esperimento.
Vi è stata una cura particolare per l’ambiente, la Berlino degli anni 2000, per la scelta dei personaggi e delle parole; infatti nel film non si parla di fascismi, all’inizio, ma di “autarchia”, perché, come racconta P. Thorwarth, nelle scuole tedesche si parlava così tanto di nazismo che alla fine non se ne poteva più e il risultato era diventato una sorta di banalizzazione che si esprimeva più o meno così: ecco, si, ho capito, non accadrà più. Questa espressione ne evoca altre, tipo, “spirito della storia”, “non crimini, ma solo esecuzione di ordini” che ricorrono spesso nei processi per crimini contro l’Umanità o nella Banalità del male di Hannah Arendt.
Ho ritrovato il dvd del film qualche mese fa e ho deciso di rivederlo. Spesso, la visione a distanza di anni di un vecchio film si rivela deludente; non è stato il caso de “L’Onda” che, ancora una volta, mi ha fatto pensare che è quello che si dice “un film da vedere”. Il canovaccio del film è l’esperimento romanzato ambientato in un liceo della Berlino riunificata, il professore è anche l’allenatore della squadra di pallanuoto dello stesso liceo e, come il prof. Jones, è un personaggio di cui i ragazzi si fidano: è un vecchio rockettaro anarchico, si fa dare e dà del tu, parla di tutto con i ragazzi che lo chiamano per nome, ed è sempre disponibile. In contrasto con le sue idee, viene scelto per la settimana di studio sull’Autarchia.
La figura dell’insegnante e il suo rapporto con i ragazzi è uno dei punti chiave del film: tutto può accadere perché il professore è “diverso” e molto amato dagli studenti. I ragazzi sono “normali” vivaci, intelligenti, motivati, molto partecipativi e anche dotati di buone capacità riflessive. Siamo in Germania, non in California, e la domanda non è come ciò sia potuto accadere ma se potrà mai più accadere. A questa domanda dell’insegnante gli studenti, all’unanimità, rispondono: “impossibile!”.
Non voglio raccontare il film perché è bello da vedere e fonte di riflessione dal momento che la dittatura, nel mondo, è ancora molto ben rappresentata e il rischio, io concordo con quello che l’esperimento racconta, è sempre in agguato.
A proposito di dittature, il romanzo Le Benevole di Jonathan Littell fornisce molti elementi di riflessione perché affronta il problema dal punto di vista dell’umanità nelle sue paure, bisogni e infinite contraddizioni, ma anche dal punto di vista economico e delle esigenze industriali. Protagonista del libro è un carnefice, un ex ufficiale della Wehrmacht che, nel 1941, contribuì allo sterminio di ebrei, zingari e comunisti; successivamente, mandato nel Caucaso, sopravvisse alla sconfitta di Stalingrado e alla fine della guerra riuscì a fuggire dalla Germania. Libro molto interessante, soprattutto perché è il racconto fatto da un carnefice e fa toccare con mano, quanto, vittima e carnefice siano indistinguibili giacché albergano nella stessa persona e si scambiano continuamente di ruolo. Ottimo esempio ne è la Russia di Stalin. Del resto le dittature non hanno colore, e al riguardo, è molto bello anche se angustiante, sempre ne Le Benevole, un dialogo tra il protagonista e un responsabile del Partito Sovietico. È un dialogo su ideologie e metodi di un livello non banale in cui, alla fine, i personaggi concludono che in fondo la pensavano allo stesso modo.
Sempre senza raccontare il film ne vorrei evidenziare alcuni aspetti emblematici delle interazioni fra gli individui: man mano che i personaggi agiscono la partecipazione collettiva, si assiste a un crescendo di azioni atte a rinforzare il sentimento di appartenenza. Si passa dalla divisa al logo, un’onda appunto, fino alla creazione di un saluto che è anch’esso un’onda. L’adesione degli studenti è quasi totale, qualche dissidente della prima ora ritorna sui suoi passi perché il senso di esclusione è intollerabile.
Pochi restano fuori, e fra questi c’è una ragazza che sembra avere una famiglia più solida alle spalle; all’inizio si autoesclude perché non accetta la divisa, ma poi questo elemento di dissidenza fa sì che gli altri rifiutino lei che, spaventata dal comportamento esaltato del gruppo si attiva per fermarlo: infatti i disagi individuali vengono trasformati in pseudo-grandiosità vandaliche mentre uno dei ragazzi, il più fragile e sofferente psichicamente, arriva persino a comprarsi una pistola su internet e a proporsi come guardia del corpo del professore.
D’altronde l’insegnante, sempre più identificato con il suo ruolo dittatoriale, non sembra accorgersene. Vacillano persino i legami affettivi mentre gli istinti aggressivi e di affermazione di sé, tenuti a bada, fino ad allora, anche dalle insicurezze personali, si esprimono liberamente poiché “l’unione fa la forza”. Mi sono chiesta se il film avesse potuto avere un epilogo diverso dalla tragedia con cui si chiude e credo che non fosse possibile perché il problema sta nel limite, nel senso che c’è un momento oltre il quale esiste solo il dramma: bisognerebbe poterlo riconoscere.
A tale riguardo, però, io nutro qualche perplessità perché ho come la sensazione che ci sia una grossa difficoltà a prendere contatto con il limite e che ci si accorga di esso solo quando ci sbarra la strada. Infatti l’espressione enigmaticamente stravolta del professore, in manette, mentre sullo sfondo i superstiti, smarriti, cercano il contatto umano, è proprio lo sguardo di chi non capisce, esattamente come lo spettatore che resta muto e sconcertato.