“Sai cos’è buffo, cosa mi fa veramente ridere?
Ho sempre pensato che la mia vita fosse una tragedia,
ma adesso mi rendo conto che è un cazzo di commedia”
(Arthur Fleck rivolto a sua madre Penny)
Il trauma è presente nei momenti difficili che attraversiamo in cui l’Io è sopraffatto e sovrastato dagli eventi; nella vita degli esseri umani diventa un elemento ripetitivo dell’esistenza. Il trauma è un fenomeno universale.
Ferenczi nel 1932 introduce il concetto di Identificazione con l’aggressore, pietra angolare della sua teoria della mente, e ne descrive il suo funzionamento “Può darsi che al verificarsi di uno shock angosciante venga messo in atto un primo tentativo di difesa aggressiva, alloplastica, e che soltanto di fronte alla presa di coscienza della propria estrema debolezza e della propria impotenza si giunga alla resa incondizionata, anzi all’identificazione con l’aggressore” (Ferenczi, Diario Clinico, 1932, p. 273). L’autorità violenta fisicamente e psichicamente esercitata dagli adulti può immobilizzare fisicamente e mentalmente i bambini che sono esseri più fragili e vulnerabili.
Quando la paura “...raggiunge il culmine, li costringe automaticamente a sottomettersi alla volontà dell’aggressore, a indovinarne tutti i desideri, a obbedirgli ciecamente, a identificarsi completamente con lui” (Ferenczi, Opere, 1932, p.96). L’introiezione e l’identificazione con l’aggressore fa sì che l’aggressore scompaia come realtà esterna e diventi intrapsichico. La mente della vittima viene colonizzata dall’immagine dell’aggressore e la propria soggettività, espropriata, fa spazio a percezioni, emozioni e sentimenti che si accordano con i bisogni dell’aggressore. “Sono come tu mi vuoi”. Tale movimento permette al bambino di controllare maggiormente l’oggetto traumatico, di placarlo, di disarmarlo, e allo stesso tempo di mantenere e “salvare” la precedente situazione di tenerezza. Tale meccanismo individuato da Ferenczi è una tipica difesa esercitata nelle strategie di sopravvivenza. È un’ipersensibilità interpersonale e una ipervigilanza che permette alla vittima di “prevedere” i desideri, le intenzioni e i comportamenti del suo aggressore. Franco Borgogno introdusse il concetto di spoilt children per descriverne il fenomeno.
Il costo per la sopravvivenza è la rinuncia a parti di Sé, a sentimenti ed emozioni proprie, ad ampie parti della propria esperienza. Jay Frankel scrive in Identificazione reciproca con l’aggressore nella relazione analitica (in La Catastrofe e i suoi simboli, a cura di Carlo Bonomi e Franco Borgogno, 2001, Utet Libreria, Torino) “Il trauma e l’umiliazione di aver di fatto abdicato possono talvolta portarci a prolungare all’infinito la battaglia interna e a perseverare nei nostri sforzi di conquistare e soggiogare colui che ci attacca, vuoi psichicamente dentro noi stessi, vuoi proiettando la sua immagine su coloro che lo rappresentano nel mondo reale e lottando contro costoro” (p.201).
L’identificazione con l’aggressore è un meccanismo adattivo in azione anche nel mondo sociale nelle interazioni in cui ci troviamo di fronte a persone, istituzioni, gruppi che percepiamo come figure d’autorità o situazioni in cui ci sentiamo minacciati, in cui cioè ci troviamo a essere esposti, in una posizione di debolezza, di fragilità, di vulnerabilità. L’elemento aggressivo può manifestarsi anche subdolamente in situazioni amicali, passa attraverso lo scherzo, la presa di giro, il ridere dell’altro. In tali situazioni può essere messa in crisi la nostra capacità di pensare, di essere critici, spesso trovandoci ad assumere comportamenti di compiacenza e sottomissione, adattandoci a ciò che immaginiamo l’altro voglia da noi.
La stessa alterità rende potenzialmente l’altro fonte di minaccia, così come il sentire di essere in una posizione di dipendenza dall’altro. Il contatto con l’altro, quindi con il diverso da noi, elicita il meccanismo di identificazione con l’aggressore che agisce bi-direzionalmente.
Ciò si verifica anche nella relazione analitica in cui i partecipanti oscillano nella posizione di aggressore e di vittima. I momenti di tensione emergono quando ci identifichiamo con aspetti dell’altro che appartengono a noi, ma sono da noi rifiutate e dissociate. È un processo che richiede un lavoro intenso. Siamo però maggiormente ben disposti a identificarci con la vittima, a provare sentimenti di tenerezza, comprensione e compartecipazione quando entriamo in contatto con lei. Il lavoro difficile arriva quando, nella stanza d’analisi, intravediamo o vediamo all’opera l’aggressore interno. In quei momenti può essere difficile assumere una posizione al di fuori della dinamica aggressiva vittima-aggressore e riuscire a vedere l’altro libero da essi. Sono momenti di impasse nel lavoro analitico di forte intensità emotiva, la cui elaborazione permette la riparazione di ciò che è stato danneggiato, aprendo la possibilità di un atto creativo. È un lavoro difficile, ma possibile. In fondo sono le vittime che hanno più possibilità di chiedere un aiuto per le loro sofferenze; spesso è da lì che partiamo nel nostro lavoro.
Là dove l’aggressore predomina, la persona difficilmente chiederà aiuto per le sofferenze patite e altrettanto difficilmente troverà persone capaci di provare per lui sentimenti di tenerezza. Lì siamo messi a dura prova.
Batman e Joker sono entrambi bambini traumatizzati, e se inventassimo una sorta di “classifica” degli eventi traumatici, potremmo affermare che la vita di Joker è molto più traumatica di quella di Batman, la sua è un ri-traumatizzazione continua, una concentrazione di traumi terribili. Ma in lui predomina l’aggressore che rende difficile intravedere la vittima. Eppure lo è stato, è stato primariamente vittima di abusi e aggressioni. Il suo volto straziato, quasi una maschera funzionale a tenere l’altro lontano da sé, rispecchia la lacerazione interna.
Alla luce della storia di Joker e dei traumi e ingiustizie da lui subiti, in cui molti di noi potrebbero più o meno riconoscersi, riusciremmo a identificarci con lui nella prossima pellicola che lo vede in lotta contro Batman? Probabilmente no. Credo che a poter cambiare sarebbe il considerare e comprendere Batman in modo diverso. L’enigma del male infatti ci impone una rielaborazione continua con tutto il dolore e la fatica che esso comporta.
“Freud ha mostrato che conoscenza e comprensione procedono di pari passo, e che l’ostacolo costituito dal problema del male può essere superato per mezzo della comprensione. Se vogliamo che l’individuo sia risparmiato dal circolo vizioso generato dal perenne senso di ingiustizia (che questa ingiustizia sia intesa come il “cattivo” che è nell’Altro o come il sentire se stessi “cattivi”), dalla inevitabilità di tale ingiustizia e dalla conseguente rassegnazione nei suoi confronti, la vita umana deve essere accettata come tale e quindi con tutto il suo contrasto di verità ed errori, di cose buone e cose cattive” ( in Incontri on l’irrazionale, André Haynal 2019 p. 103. Arpa Edizioni).
L’integrazione del mondo interno non spetta solo alla psicoanalisi, deve avvenire anche attraverso un processo culturale affinché si aprano campi di innovazione e creatività.
Pina Sciommarello
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