“Il momento di Ferenczi deve ancora venire” (Lou von Salomé, Diario 1912-1913)
Nel suo libro "Impossible Training: A Relational View of Psychoanalytic education" (Routledge, 2004; di prossima pubblicazione in traduzione italiana per i tipi delle edizioni ARPA di Gavardo, BS), Emanuel Berman osserva: "Per molti anni Balint fu riluttante a pubblicare il Diario clinico, temendo che venisse frainteso. Nei suoi scritti sugli esperimenti di Ferenczi, Balint (1967, 1969) non accennò mai all’esistenza di un diario non pubblicato o all’analisi reciproca. Dovremmo considerare la cautela di Balint, il suo evitare di pubblicare o anche soltanto di citare il Diario, come una scelta di saggia prudenza, oppure come frutto di codardia? Per giudicare tale comportamento di Balint, dovremmo porci una domanda quasi impossibile: una più precoce pubblicazione del Diario avrebbe accelerato l'avvio del “rinascimento ferencziano” e le relative trasformazioni della psicoanalisi? O al contrario avrebbe gravemente danneggiato il nome di Ferenczi, come temeva Balint, condannandolo a un oblio ancora maggiore? Sarebbe avventato arrischiare una risposta”.
Leggendo queste righe, torna alla mente una considerazione di Alessandro Manzoni, il quale, nella Storia della Colonna Infame, narra le terribili vicende che accompagnarono l’epidemia di peste di Milano nel 1630, che videro barbaramente torturati e uccisi i presunti “untori”. Qui Manzoni racconta come, all’epoca, di fronte a tanta efferatezza, non mancarono di certo “pochi uomini” in grado di contraddire il senso comune, allora granitico e impenetrabile al dubbio, finché si crearono le condizioni perché un “ingegno” (il Verri) “potè far diventare senso comune il paradosso”; ovvero trasformando, quasi due secoli dopo, ciò che all’epoca in cui si erano svolti i fatti sarebbe apparso intollerabile (un “paradosso”, appunto, o un’eresia), in un “trionfo della ragione e della umanità”. Ma ciò poté accadere soltanto in virtù delle mutate condizioni storiche, poiché “in un’altra età quel trionfo sarebbe stato impossibile a qualunque sforzo umano: l’errore nel vigore della giovinezza è più forte del genio”.
Rileggendo queste righe, mi viene da pensare all’impermeabilità dello spirito del tempo, cui Ferenczi diede un assalto tanto impetuoso quanto fallimentare per l’epoca, anche se destinato a fecondare i tempi a venire. Quali trasformazioni storiche e sociali, mi chiedo, potrebbero quindi aver creato le condizioni perché sessant’anni dopo la morte improvvisa di Ferenczi, quell’enorme patrimonio costituito dal Diario e dalla Corrispondenza con Freud potesse finalmente vedere la luce?
Potrei forse azzardare un’ipotesi, ripensando a due momenti storici che ebbero sulla cultura contemporanea e anche scientifica un grande impatto: il 1968 prima, con quella “rivoluzione” culturale, che trasformò il pensiero occidentale, mettendo in discussione ogni forma di pensiero autoritario, e preparando la strada, quindi a una progressiva desacralizzazione delle figure intoccabili, fra le quali, certamente, Freud era da annoverarsi, essendo diventato, quale che fosse stato il suo indiscutibile valore, oggetto di un culto quasi “idolatrico” da parte dei suoi seguaci, non per caso abituati a usare il linguaggio curiale dell’ortodossia. E, con il 1968, aveva preso avvio la “rivoluzione” femminista, che tanto avrebbe avuto da eccepire sugli aspetti più problematici, in materia di genere, della psicoanalisi. Un altro evento che potrebbe aver avuto un ruolo decisivo nel preparare l’avvento di tempi nuovi lo si potrebbe vedere nella fine della guerra de Vietnam, 1975, e nel ritorno a casa di tanti veterani affetti da quei traumi che, proprio di fronte a tanta evidenza, sarebbero tornati ad occupare il posto legittimo che loro spettava nei trattati di psichiatria, dai quali erano stati definitivamente spodestati con la fine della prima guerra mondiale. Con la definizione del Post Traumatic Stress Disorder (PTSD), il trauma tornava infine a essere materia degna di studio, e soprattutto di cura, essendo il tempo ormai maturo per riscoprire l’opera di colui che, in tale direzione, aveva saputo vedere più lontano.
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