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PRIGIONIERI

Pina Sciommarello


Questo mio scritto nasce in seguito alle domande e alle riflessioni dei partecipanti al convegno della seconda giornata sulla Trilogia del Trauma Psichico, tenutosi il 1 febbraio 2020 a Firenze, sulle relazioni presentate. Condivido qui il mio pensiero.

Quando parliamo di vittima, non parliamo solo della vittima.

Quando ci troviamo davanti a una vittima, sappiamo che ciò che abbiamo dinanzi non è solo l’anima assassinata, ma anche il suo assassino.

Il concetto di “Identificazione con l’aggressore” di Ferenczi permette di comprendere la dinamica interna delle vittime del trauma. Tale dinamica la si può rintracciare non solo nei casi di abuso sessuale Infantile, ma anche in tutte quelle forme maltrattamento, noncuranza, malevolenza che sequestrano l'anima, commettendo un crimine, un “assassinio dell'anima”.

Nella violenza traumatica, nei casi ad esempio nei campi di sterminio, in cui la malvagità e la crudeltà sono attuate volontariamente da un essere umano o da un gruppo che in modo organizzato e sistematico distrugge i bisogni di base dell'essere umano, come quello di sicurezza e di certezza, la vittima introietta il mondo concentrazionario. L'aggressore entra nel mondo interno della vittima e si impone ad esso in quanto la mente è in uno stato di regressione a una fase di indifferenziazione primaria. Bleger chiama tale fase “ambiguità”; Ferenczi sostiene che l’enorme sofferenza, lo stato d’impotenza, l'assenza di speranza in qualsiasi aiuto esterno spingono alla morte; tuttavia dopo la perdita o l'abbandono del pensiero cosciente, si risvegliano gli istinti vitali organizzatori, l’Orpha, che sostituiscono alla morte la follia. (Ferenczi 1932, pag. 55). La psiche viene frammentata, atomizzata ed i pezzi sono sparati lontano, nello spazio. La funzione Orpha, ricorrendo alla dissociazione, a stati di trance, alla frammentazione, cerca di proteggersi dalla realtà esterna devastante. Unico modo in situazioni di estrema e insopportabile sofferenza per poter continuare a sopravvivere, l’Orpha, anestetizza la coscienza, fornisce consolazione quando non vi è nessuno accanto a sé, come un angelo custode onnipotente che cerca di preservare il Sé dal terrorismo della sofferenza.

Come tentare di riparare un tale danno subito? Come dare parola e senso a ciò che non era pensabile, a ciò che non aveva parola? Come mettere insieme i frammenti partendo dall'unico frammento Orpha, come operare una connessione tra zone del mondo interno e tra sé ed il mondo esterno?

Mettere in connessioni pezzi di sé e della propria esperienza, connettere i frammenti e le diverse zone della mente, porta con sé una forma di violenza.

Alcuni dei sopravvissuti alla Shoah si sono fatti testimoni dei fatti terribili accaduti nei campi di sterminio. Mi chiedo se il loro aggressore interno si vesta da senso di colpa del sopravvissuto ...

La senatrice Liliana Segre durante una recente intervista a “Che tempo che fa”, ha annunciato “non lo posso più fare”, cioè non farà più incontri in cui racconta di quella bambina che è stata, delle cose viste durante l'agonia nei lager, delle sofferenze che ha vissuto nei campi di sterminio. Mentre parlava di questo, ho avuto la percezione della sofferenza, profonda, viscerale, vissuta nel raccontare per anni la storia dell’inferno attraversato. La ragazzina dentro di lei premeva affinché raccontasse.

Ho immaginato che la ragazzina fosse diventato l'aggressore interno che, come lei stessa racconta, è una bambina che incombe, la perseguita, che non la libera mai, che non le dà pace, che attraverso la narrazione di quanto le è accaduto, la riporta continuamente nei ricordi, la riporta alle terribili sofferenze vissute. Un aggressore di cui però prova una pena infinita.

Come racconta anche un altro superstite della Shoah, il rendere testimonianza riporta continuamente là, come se si non fosse mai usciti, come se si fosse ancora là, come se si fosse ancora prigionieri. Il dolore ogni volta è straziante, estenuante. Una sorta di elaborazione continua dell'esperienza traumatica vissuta. Il senso di responsabilità li porta a raccontare, nonostante la stanchezza fisica e psicologica per gli anni che avanzano. Il loro testimoniare ha raggiunto la terza generazione.

La testimonianza deve avvenire pubblicamente. Il trauma è sociale ed il testimoniare aiuta a mettere insieme i pezzi, a curare le loro ferite e quelle di noi tutti.

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