
Testimone: chi è presente a un fatto, a un avvenimento, chi ne è a conoscenza per averlo vissuto direttamente. È l’attestazione di un fatto, che ne afferma la veridicità.
In questo momento storico, il mondo degli umani sta attraversando un evento mai vissuto precedentemente; un'onda traumatica ci attraversa, mettendoci a contatto con la nostra vulnerabilità e le nostre fragilità. Un'onda di cui non riusciamo ad immaginare la portata, a prevedere gli effetti. Non sappiamo quanto e in che modo la nostra “barca” riuscirà a contrastare l’onda d'urto. Per fortuna, ciò che sappiamo è che l'essere umano ha una capacità straordinaria di recuperare, riparare e riuscire ad andare oltre la devastazione interna ed esterna, a trovare la forza ed il modo di ricostruire. “Ogni essere umano possiede una riserva di forza la cui misura gli è sconosciuta; può essere grande, piccola o nulla, e solo l’avversità estrema dà modo di valutarla” (Levi, 1986, I sommersi e i salvati, p. 45, Einaudi).
Nella nostra pratica psicoterapeutica, siamo chiamati, mai come prima, a essere testimoni partecipi. Essere testimoni delle sofferenze emotive che il mondo intero e suoi abitanti umani stanno attraversando. Siamo anche noi, insieme ai nostri pazienti, nella tempesta, testimoni della realtà dolorosa in cui siamo calati. Come terapeuta, sento la responsabilità di informarmi, di seguire l’andamento, mio malgrado, della pandemia, per essere a conoscenza di ciò che può aiutare loro ad aver cura di se stessi e a proteggersi. A svolgere cioè quelle funzioni ausiliari di padre e madre degli oggetti interni buoni che sostengono e supportano. Senza però rinnegare la “realtà”; come dice Ferenczi; il paziente ha bisogno di un analista che non rinneghi la realtà e i suoi vissuti, anche angosciosi e depressivi, ma che riesca a conviverci, insieme a lui, senza esserne distrutto. Un reciproco riconoscimento che consente condivisione e mutua trasformazione nell’attraversare la tempesta emotiva.
È uno sforzo eccezionale quello che siamo chiamati a fare in questo periodo. Una fatica mentale che ci stravolge anche fisicamente. Siamo chiamati a tenere, a contenere le nostre e le altrui sofferenze. A farci contenitore e deposito di ansie e angosce; il lavoro di trasformazione ci aspetterà in seguito.
Nella mia esperienza terapeutica, gli incontri con i miei pazienti spesso iniziano con la richiesta-bisogno di sapere come l'altro sta. Non è una formalità, difficilmente negli incontri in studio, il paziente mi chiede come sto. È un bisogno che leggo come un'angoscia di abbandono e perdita che sottostà alla preoccupazione per la mia salute. Anch'io chiedo loro come stanno. Mi preoccupo per loro e per quelli che in questo periodo non posso seguire.
Nelle situazioni in cui avverto il tentativo di continuare a lavorare facendo “come se”, come se niente fosse accaduto, nulla fosse cambiato, i sogni portano straordinariamente alla luce le angosce sottostanti, il lavoro profondo dell’inconscio. È in quella zona che avviene un lavoro psichico incessante. Portano sogni anche coloro che di solito non lo fanno, come se l’inconscio premesse, richiedendo un'attenzione particolare, una posizione privilegiata di protagonista della scena.
Curioso e meritevole di approfondimento è l'aspetto onirico per i temi portati e per la simbologia comune: l’oceano (un desiderio di ritornare al primitivo rapporto con la madre, al contatto con il suo corpo, fra sue braccia?), le spiagge, persone frequentate nella fase adolescenziale, ambienti in cui abbiamo vissuto ed eventi che abbiamo attraversato in età giovanile. Un contatto con persone incontrate in passato quasi a voler recuperare-riparare un tempo? È una ricerca di una riscrittura della propria storia sociale e di un passato relazione con l'altro al di fuori della famiglia?
Uno spazio onirico in cui temi comuni sono condivisi da molti.
Molte le domande che allargano il campo di una riflessione analitica. Ma ora «nous ne pouvons vivre que dans l’entrouvert, exactement sur la ligne hermétique de partage de l’ombre et de la lumière. Mais nous sommes irrésistiblement jetés en avant. Toute notre personne prête aide et vertige à cette poussée»
“Possiamo vivere solo nel socchiuso, esattamente sulla linea ermetica dove si incontrano l'ombra e la luce. Ma siamo irresistibilmente gettati in avanti. Tutta la nostra persona presta aiuto e vertigine a questa spinta”.
(René Char, La parole en archipel).
Immagine di copertina: Livelli di profondità, di Mirko Gonnelli.
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